Le misure adottate per contrastare l’epidemia da Covid-19 hanno un forte e grave impatto sulle attività d’impresa, in particolare quelle colpite da chiusura forzata, generando una conseguente crisi economica che ha investito l’ambito delle locazioni commerciali.
Si viene a creare, infatti, una situazione per cui, da una parte, vi è la difficoltà dei conduttori di corrispondere l’importo del canone di locazione originariamente pattuito, mentre dall’altra parte, vi è il proprietario che, senza alcuna responsabilità, non riesce ad incassare il canone.
Posto che l’unico responsabile è il Covid-19, come si possono tutelare le rispettive posizioni dei conduttori e dei locatori, entrambi incolpevoli?
La Suprema Corte di Cassazione è recentemente intervenuta sul punto, cercando una via che consentisse di mantenere in essere il rapporto negoziale riequilibrandolo, anziché procedere ai rimedi codicistici della risoluzione per impossibilità sopravvenuta o per eccessiva onerosità sopravvenuta. Con tale scopo la Cassazione ha previsto l’obbligo di rinegoziazione per riportare ad equilibrio le prestazioni contrattuali, basandosi sul principio generale per cui nei contratti di durata, qualora si verifichi una sopravvenienza tale da modificare l’assetto giuridico-economico dell’accordo negoziale, la parte svantaggiata deve poter avere la possibilità di rinegoziare il contenuto della propria prestazione.
In applicazione di tale principio il Tribunale di Roma, in una ordinanza del 27 agosto 2020, ha fatto ricorso al criterio della buona fede integrativa disponendo una riduzione del canone di locazione commerciale del 40% per i mesi di lockdown e del 20% per i mesi immediatamente successivi al lockdown.
Nella pratica quotidiana, si tratta di valutare caso per caso, anche se è certo che le parti hanno l’obbligo di provare a rinegoziare il canone di locazione per il periodo di lockdown e quello immediatamente successivo, con la speranza di poter tornare con il tempo al pieno ed integrale pagamento.
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